giovedì 26 agosto 2010

Scacchisti e poeti

GLI SCACCHISTI IRRITABILI
PRIMO LEVI
da “L’ALTRUI MESTIERE”*

Già Orazio, poeta lui stesso, confessava di lasciar correre su molte cose pur di non farsi nemica la genia irritabile dei poeti; ed irritabili i poeti, o più in generale gli scrittori, sono tuttora: basta pensare alle vicende dei premi letterari, ed all'odio viscerale che il poeta tributa al critico quando la sua recensione contiene anche solo l'ombra di un dubbio. Leggiamo adesso, mentre a Merano** Karpov e Korchnoi si stanno silenziosamente sbranando, quanto irritabili siano gli scacchisti. Perché questa qualità è condivisa dagli scacchisti e dai poeti? C'è qualcosa in comune fra gli scacchi e la poesia?
I cultori del nobile gioco sostengono di si: una partita a scacchi, anche se giocata fra dilettanti, è un'austera metafora della vita e della lotta per la vita, e le virtù dello scacchista, ragione, memoria ed invenzione, sono le virtù di ogni uomo pensante. La regola severa degli scacchi, per cui il pezzo che è stato toccato deve essere mosso, e non è ammesso rifare un tratto di cui ci si è pentiti, riproduce l'inesorabilità delle scelte di chi vive. Quando il tuo re, per effetto della tua imperizia o disattenzione o imprudenza o della superiorità dell'avversario, viene stretto sempre più da vicino, minacciato (ma la minaccia deve essere espressa con voce chiara: non è mai un'insidia), incantonato, ed infine trafitto, tu non manchi di percepire, al di là della scacchiera, un'ombra simbolica. Quella che tu stai vivendo è una morte; è la tua morte, ed insieme è una morte di cui tu porti la colpa. Vivendola, la esorcizzi e ti fortifichi.
Questo gioco cavalleresco e feroce è dunque poetico: tale è sentito da tutti coloro che lo hanno praticato, a qualsiasi livello, ma io penso che la ragione dell'irritabilità di poeti e scacchisti non risieda qui. I poeti, e chiunque eserciti una professione creativa ed individuale, hanno in comune con gli scacchisti la responsabilità totale dei loro atti. Questo avviene di rado, o non avviene affatto, in altre attività umane, sia retribuite e serie, sia gratuite e giocose. Forse non è un caso se ad esempio i tennisti, che giocano da soli o al massimo a coppie, sono più irascibili e nevrotici dei calciatori o dei ciclisti, che operano in squadra.
Chi fa da sé, senza alleati né intermediari fra sé e la sua opera, davanti all'insuccesso è privo di pretesti, ed i pretesti sono un analgesico prezioso. L'attore può scaricare le colpe di un suo insuccesso sul regista, o viceversa; chi lavora in un'industria sente la propria responsabilità diluita in quella di numerosi colleghi, superiori e sottoposti, e inoltre inquinata dalla «contingenza», dalla concorrenza, dal capriccio del mercato, dagli imprevisti. Chi insegna può incolpare i programmi, il preside, e naturalmente gli allievi.
L'uomo politico, almeno in regime pluralistico, si fa strada attraverso una selva di tensioni, collusioni, ostilità palesi o nascoste, tagliole, favori, e quando fallisce ha mille occasioni per giustificarsi davanti agli altri e davanti a se stesso; ma anche il despota, il detentore del potere assoluto, responsabile totale per sua scelta aperta ed ammessa, davanti al crollo cerca chi risponda al suo posto: vuole anche lui l'analgesico. Hitler stesso, nella Cancelleria assediata, un'ora prima di uccidersi, scaricò rabbiosamente ogni sua colpa sul popolo tedesco, che non era stato degno di lui. Ma chi decide di attaccare con l'Alfiere il punto che ritiene debole dello schieramento avversario, è solo, non ha corresponsabili neppure putativi, e risponde pienamente e singolar¬mente della sua decisione, come il poeta al tavolino davanti al «piccioletto verso ». Anche se solo in occasione di un gioco, è adulto e maturo.
Si deve aggiungere che poeta e scacchista lavorano solo con il cervello, e che sulla qualità del nostro cervello siamo tutti molto permalosi. Accusare il prossimo di essere debole di reni, o di polmoni, o di cuore, non è un reato; definirlo debole di cervello invece si. Essere giudicati stupidi, e sentirselo dire, è più doloroso che sentirsi definiti golosi, bugiardi, violenti, lussuriosi, pigri, codardi: ogni debolezza, ogni vizio ha trovato i suoi difensori, la sua retorica, la sua nobilitazione ed esaltazione, ma la stupidità no.
«Stupido» è una parola forte e un insulto cocente: forse è questa la ragione per cui, in tutte le lingue e soprattutto nei dialetti, il termine possiede una miriade di sinonimi, più o meno eufemistici, come avviene per le parole attinenti al sesso e alla morte. Se Cristo, secondo Matteo Evangelista (5.22), aveva sentito opportuno ammonire che chi avrà detto «raca» al suo fratello sarà sottoposto a giudizio, e chi lo avrà chiamato pazzo scenderà fra i dannati, è segno che egli aveva riconosciuto il carattere vulnerante di questi giudizi.
Contro di essi lo scacchista ed il poeta sono privi di difesa: si sono denudati. Ogni loro verso, ogni tratto, è firmato. Collaboratori-complici non ne hanno: hanno sì avuto dei maestri, in carne ed ossa o a distanza di continenti e di secoli, ma sanno che delle nostre debolezze è viltà dare la colpa ai maestri, o comunque ad altri. Ora, chi è nudo, con la pelle scoperta e fittamente cosparsa di terminazioni nervose, senza una corazza che lo protegga né abiti che lo schermino e lo mascherino, è vulnerabile ed irritabile. È questa una condizione a cui, nella nostra complicata società, ci si trova esposti di rado, tuttavia sono poche le vite in cui il momento del denudamento non venga. Allora soffriamo per la nudità a cui non ci siamo adattati: anche la pelle vera, non metaforica, si irrita se esposta al sole.
Per questo motivo, io pessimo scacchista penso che sarebbe una buona cosa se il gioco degli scacchi fosse più diffuso, e magari venisse insegnato e praticato nelle scuole, come da molto tempo si fa in Unione Sovietica. Sarebbe bene, insomma, se tutti, e specialmente chi aspira al comando od alla carriera politica, imparassero precocemente a vivere da scacchisti, cioè meditando prima di muovere, pur sapendo che il tempo concesso per ogni mossa è limitato; ricordando che ogni nostra mossa ne provoca un'altra dell'avversario, difficile ma non impossibile da prevedere; e pagando per le mosse sbagliate.
L'esercizio di queste virtù è certamente vantaggioso a lungo termine, sia per il singolo, sia per la comunità. A breve termine, esso ha il suo prezzo, che è quello di farci diventare un poco irritabili.

*L'altrui mestiere è un'opera saggistica scritta da Primo Levi e pubblicata da Einaudi nel 1985. Gli scritti che il libro contiene sono principalmente articoli che Levi pubblicò su quotidiani e riviste, La Stampa principalmente, dal 1964 al 1984. L'autore tratta di temi quali le scienze naturali, la zoologia, l'astronomia e la letteratura. Ci racconta inoltre di alcuni suoi ricordi giovanili e finisce per fornirci una preziosa autobiografia, scritta con il suo stile nitido e preciso.

**Nel 1981 Merano ospitò la finale del Campionato del Mondo, che vide il dominio assoluto di Karpov su Korchnoi, che si aggiudicò il match con 6 vittorie, 2 sole sconfitte e 10 patte.


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